Precisazioni sul concetto di essere in Aristotele


Precisazioni sul concetto di essere

In Aristotele

 

La critica a Parmenide e agli eleati

Aristotele afferma che ‘’l’essere si dice in molti sensi’’. Tale affermazione è riportata nel libro I della fisica per difendere l’esistenza della natura e del movimento. Gli eleati, da Parmenide in poi, con la loro dottrina dell’essere avevano infatti messo in discussione lo spazio e il tempo e quindi l’esistenza stessa della natura.

Aristotele, nel libro I della Fisica, critica gli eleati dicendo che ‘’l’essere si dice in molti modi’’ e che Parmenide sbaglia perché ‘’ritiene che l’essere si dica semplicemente, mentre esso si dice in molti sensi’’.

La multivocità dell’essere è data dal fatto che essere come verbo può essere usato nei quattro modi che conosciamo e che sono presenti nel V libro della Metafisica:

  • Essere come accidente: il verbo essere usato come sinonimo di accadere;
  • L’Essere per sé: il verbo essere usato per dire quello che una cosa è secondo le categorie;
  • L’Essere come vero: il verbo essere usato per indicare che una cosa è vera o falsa;
  • L’essere come potenza e atto.

Nella critica a Parmenide e agli eleati, Aristotele, parla in modo specifico dell’essere per sé. L’essere per sé, è l’essere come predicato, cioè una copula seguita dal predicato nominale che sta ad indicare il modo di essere di una cosa.

Inoltre, l’essere per sé, si predica di tutte le categorie.

Per intenderci, utilizziamo gli esempi di Aristotele stesso: dire l’uomo è fiorente di salute o l’uomo fiorisce di salute è dire la stessa cosa, dire l’uomo è camminante o tagliante o l’uomo taglia e cammina è dire la stessa cosa.

Che significa ciò?

Significa che il verbo essere, a seconda del predicato a cui si unisce, può avere lo stesso significato di qualsiasi altro verbo (è fiorente è la stessa cosa di fiorisce, è camminante è la stessa cosa di cammina, ecc…).

In questo senso il verbo essere ha una molteplicità di significati, è multivoco.

 

La critica a Platone

Per Platone, come abbiamo visto, l’Uno è il genere sommo e cioè universale. E come genere sommo è il principio delle idee. L’Uno (che è identificato presumibilmente con l’essere e col bene, usiamo presumibilmente perché siamo nell’ambito delle dottrine  non scritte di Platone) è quindi il genere sommo (primo) di tutti i generi (idee e numeri).

Il ragionamento di Aristotele è il seguente: se concepiamo l’essere (Idea) come genere dobbiamo concepirlo come predicato dotato di un unico significato.

Cioè, per fare un esempio, ‘’animale’’ è il genere di uomo, cane, gatto, pipistrello ecc..

Inteso in questo modo il genere è una specie di sostrato a cui si aggiungono le differenze specifiche (uomo, cane, gatto, pipistrello ecc…).

L’essere in questo modo non ha in sé, non possiede in sé, le differenze ma queste si aggiungono in seguito.

Qual è la conseguenza di ciò?

La conseguenza è che, per Platone, l’unica cosa che è, che esiste, è il genere ‘’animale’’. Detto in altri termini, l’animale che cammina, parla, salta, abbaia, miagola, la cosa che vediamo nel mondo reale e particolare non ha dignità di essere, è tuttalpiù una copia presente nel mondo universale e oggettivo (l’iperuranio), che è l’unico vero.

E ritorniamo al punto di partenza: l’essere per essere vero si può riferire solo alle idee presenti nell’iperuranio mentre il mondo naturale, della physis, non ha esistenza sua propria ma è copia.

 

Aristotele quindi, mentre concorda con Platone che l’essere e l’uno si predicano di tutte le cose, è in disaccordo sul fatto che siano generi.

Se fossero generi non potrebbero predicarsi delle proprie differenze, il genere Uno non può predicarsi del molteplice e l’essere come genere non può predicarsi del non essere come molteplicità come voleva Platone quando compì il parricidio di Parmenide.

Questo significa che per Aristotele l’essere non è un genere, né un sostrato, né una materia a cui si aggiungono le differenze. Ma è, l’essere, di per sé stesso differenziato.

Facciamo un esempio: Antonio è Antonio perché non è tutte le altre persone. Identifichiamo Antonio perché lo mettiamo in relazione a tutte le altre cose. Quindi l’identificazione di Antonio avviene dopo averlo messo in relazione con tutte le altre persone. Questa è la posizione di Platone.

Per Aristotele invece Antonio è Antonio perché è già in sé stesso differenziato da tutte le altre persone, non abbiamo bisogno della relazione.

L’essere è di per sé stesso molteplice! Essere e non essere non sono distinti ma sono figure di una stessa cosa chiamata essere.

 

L’essere delle categorie

I molti significati dell’essere corrispondono alle categorie che sono figure della predicazione. Le categorie non sono gradi diversi di una stessa realtà, ne livelli degradanti verso il non essere (per dare un’idea: nella scala della bellezza di Platone si partiva dalla bellezza dei corpi, la più bassa e la meno vera, fino alla bellezza dell’idea, la più alta e la più vera e viceversa). L’essere può predicarsi di qualsiasi categoria mantenendo sempre la sua dignità ontologica.

Tuttavia le categorie hanno una loro unità. Tale unità è data dalla prima categoria che è quella dell’essenza o sostanza (ousia). Essa è il punto di riferimento di tutte le altre ed è, sempre, in relazione a tutte le altre.

Cioè l’essere di un uomo può essere predicato secondo la qualità e la quantità ma è sempre in relazione alla sostanza, l’essere di un altro uomo può essere predicato secondo il tempo e lo spazio ma è sempre in relazione alla sostanza e così via.

Non possiamo dire o pensare ‘’è bravo e fatto di carne ed ossa’’ senza dire o riferirci   alla sostanza uomo.  Altrimenti si potrebbe cadere in una equivocità o in una omonimia.

La sostanza si configura in questo modo come avente un primato ontologico: nessuna categoria può esistere senza la sostanza, e un primato logico: nessuna categoria può essere compresa senza un riferimento alla sostanza.

L’essere è innanzitutto sostanza.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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